Avv. Francesco Cucci

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La studiosa britannica Dr. Stephanie Hare, esperta di tecnologie, analista del rischio politico e storica, ha scritto un libro di prossima pubblicazione –  attualmente solo prenotabile al prezzo di 21 sterline, qui il link: http://londonpublishingpartnership.co.uk/technology-ethics/ – nel quale approfondisce quattro argomenti per cui si rende urgente una riflessione etica:

  • biometria
  • “big data”
  • protezione dei dati
  • dati dei minori

Il libro offre un approccio interdisciplinare sul tema e, a mio avviso, costituisce una lettura fondamentale per tutti noi, dandoci la possibilità di comprendere meglio la tecnologia, l’impatto che essa – a nostra totale insaputa – sta incominciando ad avere e sempre più avrà sulle nostre vite e sulla nostra libertà.

Chi oggi afferma: “Della privacy non mi interessa, perché tanto io non ho nulla da nascondere”, non ha compreso ancora le vere dimensioni del problema.

Stephanie Hare ci invita a riflettere di come, oltre ai nostri dati già raccolti nel big-data (riguardanti preferenze, spostamenti, cerchie di amicizia, idee politiche e religiose, assenze da casa per viaggi, presenze ad una determinata manifestazione, ecc.), le entità interessate alle nostre informazioni stiano lanciando l’attacco a quanto di più esclusivo ci appartenga: io nostro corpo.

La biometria sta appunto facendo questo. E si badi che la biometria è davvero l’ultima frontiera dell’attacco alla nostra libertà, perché una violazione di dati in questo ambito è come se ci facesse a pezzetti.

Mi spiego.

Se per autorizzare un pagamento oggi posso toccare con il mio dito indice destro il sensore biometrico del mio smartphone (ma a breve potremo farlo anche in banca o per firmare contratti dal notaio), qualora il raw-data della mia impronta (cioè tutte quelle informazioni che al momento dell’acquisizione del modello della mia impronta vengono raccolte facendomi passare il dito più e più volte sul sensore) venissero rubati, io non potrei mai più usare (e per “mai” si intende davvero “mai più”) il mio dito indice destro per autenticare alcunché.

Di dita ne abbiamo 10 (20 se consideriamo di poter firmare con quelle dei piedi….).

Comprendiamo bene che le possibilità sono tutt’altro che infinite.

Altrettanto dicasi per il viso e per la voce.

Viso e voce che non perdiamo occasione per postare su tutti i social possibili ed immaginabili.

Il nostro corpo, tutte le misure dello stesso (non solo quelle finora citate, ma anche: iride, battito cardiaco, camminata, patrimonio genetico, ecc.) sono il nostro patrimonio più prezioso ed intimo, ma anche quello più “finito”.

I Governi, i centri di potere economico, i servizi segreti, le associazioni a delinquere a livello mondiale hanno tutto l’interesse ad espandere quanto più possibile il loro controllo sul mondo e sulle persone.

Dare accesso gratuitamente a tutti i nostri dati personali – tra cui quelli biometrici – significa esporre la nostra vita, quella di tutte le persone appartenenti alla nostra cerchia e forse anche alle cerchie dei nostri contatti, ad un controllo sempre più capillare ed invasivo, che si insinua (con Alexa, che registra sempre tutto) fin nelle nostre camere da letto, o nel nostro sistema circolatorio (con gli smartwatch e con i fitwatch), o fin dentro le fragilità della nostra psiche (tramite il monitoraggio e l’analisi delle nostre navigazioni e dei nostri “post”, elaborati da algoritmi sempre più potenti e sconcertanti).

Un esperimento dell’Università di Washington ha studiato il potenziale di Alexa di riconoscere dal tono di voce dello speaker i sintomi di un imminente attacco di cuore (https://www.geekwire.com/2019/can-alexa-help-detect-heart-attack-researchers-explore-life-saving-potential-smart-speakers/).

Un’assicurazione in grado di accedere a tutte le informazioni necessarie presenti nel big-data potrebbe domani rifiutarci una polizza vita, qualificandoci come soggetti a maggiore rischio di attacchi di cuore, solo a causa delle valutazioni fatte sul campione che Alexa – o altri strumenti simili, come Google assistant o SIRI, per esempio – hanno raccolto della nostra voce.

Questa è la sfida.

Il problema del big-data si sposta da quello della tutela della privacy e della sicurezza a quello del controllo delle persone e della loro libertà.

Mi occupo, dalla sua approvazione, del GDPR (alla cui elaborazione definitiva ho potuto dare anche il mio piccolo contributo, confluito, insieme a quello di tanti altri, nell’addendum pubblicato nella Gazzetta Europea L127).

Nell’affiancare le aziende io ed il mio team, composto da giuristi e da tecnici  IT ed esperienza trentennale nel campo della Cybersecurity e della certificazione di qualità, forniamo una consulenza non solo formale, ma in grado di sfruttare la compliance alla norma per aggiornare i processi aziendali ed aumentare la produttività e la sicurezza.

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