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21 Ottobre 2017[column width=”1/1″ last=”true” title=”” title_type=”single” animation=”none” implicit=”true”]
In tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall’interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio di un’adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione, e la dignità personale dell’interessato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 22602/17; depositata il 27 settembre) , che ha rigettato la richiesta di nomina di Amministratore di sostegno avanzata dal figlio nei confronti del padre il quale si era opposto ritenendo la misura di protezione richiesta e pronunciata contro il suo volere, lesiva del best interest.
La Corte di Cassazione ha rilevato che la finalità della misura è quella di proteggere le persone fragili, ovvero coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo. Detta tutela deve avvenire con la minore limitazione possibile della capacità di agire, così da non mortificare la persona beneficiata e rispettare la sua autodeterminazione, quale valore fondamentale della persona umana.
Pertanto, tralasciando il caso in cui il beneficiario rifiuta la nomina di un amministratore di sostegno proprio a causa della sua patologia che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato, la sua diversa volontà non può non essere tenuta in debita considerazione dal Giudice che in tali casi deve essere guidato dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione dell’interessato.
Avv. Barbara Branchesi
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